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22.5 Gradi Centigradi di ritorno all’origine

22.5 Gradi Centigradi di ritorno all’origine

Un oggetto prodigioso. Completamente meccanico. Ed efficientissimo. Con un lato termico che di termico terrestre non ha nulla a che fare, e che riporta invece al calore del nucleo.

E se lo dico io, che di queste cose figuriamoci. (...)

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La Repubblica (il giornale) e suoi primi, disastrosi, quarant'anni

La Repubblica (il giornale) e suoi primi, disastrosi, quarant'anni

I primi quarant'anni del quotidiano La Repubblica dunque, tondi tondi il prossimo 14 gennaio. A nostro avviso non c'è molto da festeggiare. Se non, naturalmente, la longevità di un giornale in questo scenario di enormi cambiamenti nel mondo dell'editoria così come avvenuto nell’ultimo quindicennio. La data è effettivamente storica, visto che il giornale fondato da Eugenio Scalfari e diretto ininterrottamente da Ezio Mauro si appresta proprio a spegnere quaranta candeline: ciò significa, però, che qualche linea si può tirare.

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No, non siamo tutti uguali

No, non siamo tutti uguali

Il mio articolo del 13 dicembre scorso “Cari bancari, ma non vi fate schifo?” (qui) ha suscitato un certo interesse. Ed evidentemente parecchia irritazione (in più di qualcuno). E più di qualche commento. Si va dal lapidario “Che cavolate che scrivi, grosse cavolate…” a qualche commento più lungo e, in qualche caso, in filo più articolato.

È superfluo rispondere a tutti. Ad alcuni è inutile farlo. Ad altri proprio impossibile, tipo quello che ho appena citato: non si può farlo al di sotto di un livello minimo di eventuale contro-argomentazione proposta.

Ad altri commenti, invece, è opportuno replicare, anche perché hanno il pregio di sollevare una questione che si snoda sotto traccia nella nostra società, che ne è uno specchio, e che però ha bisogno di essere rigettata con sdegno.

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Cari bancari, ma quando vi guardate allo specchio non vi fate schifo?

Cari bancari, ma quando vi guardate allo specchio non vi fate schifo?

Bancari, sì. Non banchieri. Non è un errore. Parliamo proprio di quelle persone che in una banca ci lavorano, non di quelle che una Banca la possiedono. Gli impiegati, proprio loro. E per essere precisi non di quelli alle operazioni di sportello, ma di quelli che sono lì per vendere i prodotti finanziari ai clienti. Quelli che vi accolgono in quelle simil salette riservate, che in qualche caso vi chiamano anche al telefono, perché magari si sono accorti che sul conto corrente avete più di qualche migliaio di euro. E che dunque sono prontissimi a consigliarvi di investirli in qualche modo. Ecco, è a questi che ci riferiamo. Perché questi non sono i proprietari della Banca, non sono ricchi possidenti. Hanno un contratto di lavoro di tutto rispetto, lo sappiamo, mensilità multiple e tutto il resto. Ma è gente come noi. I cui genitori sono magari esempi coincidenti delle stesse persone alle quali consigliano di acquistare i prodotti che propongono.

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Bail-In: se il pensionato deve studiare da "trader"

Bail-In: se il pensionato deve studiare da "trader"

Qualche giorno addietro ho scritto un articolo di aggiornamento in merito alla legge sul bail-in che anche l’Italia si appresta a rendere operativa dal primo gennaio del 2016 (qui) recependo una normativa europea e applicandola a tutti noi senza che la cosa abbia avuto comunicazione adeguata alla cittadinanza. Occorre tornarci sopra, e lo faccio utilizzando la prima persona, cosa per me inusuale, perché l’occasione mi è offerta da alcuni commenti arrivati in calce a quell’articolo stesso. Non posso rivelare il nome del commentatore perché non lo conosco: egli ha utilizzato un nick-name. Ciò non toglie che i suoi ragionamenti (ci torneremo), all’interno di quello scambio di commenti, siano utili a precisare alcune cose.

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Crisi: in "attesa" della terza ondata

Crisi: in "attesa" della terza ondata

I problemi relativi alla crisi economica e all’andamento generale dopo gli straordinari interventi delle Banche centrali sono un po’ usciti dall’agenda setting dei grandi media.

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Controproposta a Poletti: allungare a 3 mesi anche le vacanze degli adulti

Controproposta a Poletti: allungare a 3 mesi anche le vacanze degli adulti

La dichiarazione del ministro Giuliano Poletti in merito al tema delle vacanze scolastiche da ridurre per permettere dei corsi di formazione al lavoro è passata quasi inosservata, il commento più pertinente può essere segnalato in quello che ha detto il comico Maurizio Crozza, ieri sera, durante la trasmissione Ballarò, e il che è tutto dire. Eppure le parole del ministro bastano, da sole, anche a comprendere in che razza di mondo ci siamo ficcati e come, proprio il governo Renzi del quale Poletti fa parte, intende indirizzare la società italiana.

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La scuola non seduce più da tempo. Altro che 16 euro al mese in più

La scuola non seduce più da tempo. Altro che 16 euro al mese in più

La "buona scuola" tanto annunciata dal governo in carica è l'ennesima cialtroneria di uno dei più ignobili presidenti del Consiglio che la storia della nostra Repubblica abbia mai avuto. Ma in questo caso specifico, relativamente al tema scuola, Renzi ha delle scusanti. Il che, si dovrebbe capire subito, è tutto dire.

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La libertà che non libera tutti

L’aggressione alla redazione del settimanale Charlie con l’uccisione dei giornalisti ha aperto, in Europa e non solo, un tema che ne ha innescati diversi altri. Dal concetto di libertà a quello di sicurezza, dalla presunta aggressione del fondamentalismo islamico all’occidente a quella delle responsabilità di quest’ultimo nella nascita e nella fomentazione stessa dell’Isis. Oltre naturalmente a tutta la pletora di significati e significanti retorici che siamo tra i più bravi al mondo ad abbinare a circostanze del genere, con gli ulteriori beceri corollari utili alle più mere e deteriori logiche interne di carattere elettoralistico.

Impossibile in questa sede analizzare ogni aspetto. La cosa più utile, a nostro avviso, è cercare se non altro di ripristinare alcune coordinate generali, almeno una, troppo facilmente persa di vista, nei commenti più istintivi a quanto accaduto, senza la quale è impossibile (e irrilevante) analizzare qualsiasi fenomeno.

È ovvio che il modo abominevole con il quale sono stati massacrati i collaboratori di Charlie Hebdo fa rivoltare lo stomaco, ma occorre mantenere l’uso della ragione. Il che equivale a imporsi una distanza necessaria a osservare quanto accaduto.

Un elemento in particolare vogliamo analizzare, ed è quello relativo alla reazioni sociali che questo evento ha suscitato e al fatto che si sia voluto semplicisticamente individuare in chi non ne ha abbracciato i moti in tutto e per tutto come un implicito sostenitore del terrorismo. O quanto meno come qualcuno che ha riconosciuto, almeno in parte, le ragioni dell’attentato. Chi non si è immediatamente schierato dalla parte del Je Souis Charlie è stato dunque additato come un soggetto che, in un modo o nell’altro, giustificava in qualche modo l’operazione dei fratelli Kouachi. Così non è. Ma è una operazione classica del nostro mondo quello di dividere il tutto in due, buoni e cattivi, bianco o nero, escludendo, con questa suddivisione sommaria subito abbracciata da tutti, qualsiasi tipo di ragionamento ulteriore. Aspetto tipico e speculare, si converrà, di qualsiasi tipo di fondamentalismo.

Ora, se è vero che quello che professa (e pratica) l’Isis è un fondamentalismo puro e semplice, ancorché terribile e fomentato quanto si vuole dalle opinabili operazioni occidentali in terre che non ci appartengono, è altresì vero che annullare, dalle nostre parti, qualsiasi possibilità di riflessione su quanto accaduto, rappresenti allo stesso modo la dimostrazione del fondamentalismo occidentale inerente il pensiero unico che regna sovrano sui nostri media, sui nostri social network, nei salotti della nostra intellighenzia. E a quanto pare anche nelle strade.

E allora bisogna sottrarsi in primo luogo al nostro, di fondamentalismo. Tanto per dirne una, contrariamente a quanto si afferma in merito al fatto che la libertà è un valore assoluto, va sottolineato che se a essere oggetto di una aggressione simile fossero stati i redattori di qualsiasi altro giornale, in qualsiasi Paese europeo, che non fa parte del circuito ufficialmente accettato, certamente non si sarebbe levata in alto nessuna indignazione di massa. Nessun esponente politico avrebbe partecipato ad alcuna marcia. E allora.

Charlie Hebdo era - ed è - un giornale liberale-libertario perfettamente integrato all’interno del gruppo degli organi di stampa della ideologia dominante.

Sempre rimanendo in Francia, se fosse stata attaccata la redazione di Valeurs Actuelle (un settimanale di destra moderata) invece di Charlie Hebdo, si può quasi giurare che non ci sarebbe stata alcuna sollevazione anche paragonabile solo in parte con quanto avvenuto a Parigi e in tutta Europa nei giorni scorsi.

Altra mistificazione: viene fatto passare il concetto che Charlie Hebdo aveva fatto della libertà di espressione il cavallo di battaglia principale della sua azione. Ne siamo sicuri? Quanti sanno, ad esempio, che nel 1999 i dirigenti stessi di quel giornale avevano consegnato al ministero dell’interno una serie di casse contenenti quasi 174 mila firme per chiedere la messa fuorilegge del Front National?

Non ci pare una aderente dimostrazione del principio di libertà.

Insomma, in materia di libertà di espressione, lo stesso Charlie e la Francia nel suo insieme, ma tutto il nostro mondo, adottano il classico metodo dei due pesi e delle due misure: se ci si esprime secondo l’ideologia dominante si è liberi di farlo, altrimenti no. Il caso Dieudonné è lì, proprio in questi giorni, a dimostrarlo efficacemente. Bisogna pure che qualcuno lo dica.

E allora, così come ha scritto recentemente Alain de Benoist citando a sua volta Rosa Luxembourg - “la libertà è sempre la libertà di chi la pensa diversamente” - è chiaro che ci si può ergere a paladini della libertà solo nel caso in cui si è sul serio pronti a farne beneficiare proprio quelli che si esecrano.

Esiste la libertà di e la libertà da. Che sono cose diverse. Ci si può professare liberi di esprimersi, e ci si può battere per questo, solo nel caso in cui ci si riconosce (e ci si batte per permettere agli altri di riconoscersi) liberi da qualsiasi altro tipo di ideologia dominante.

E questo è esattamente ciò che il nostro mondo rifiuta pur dichiarandosi ipocritamente per un principio che esso stesso non tollera venga applicato agli altri.

Valerio Lo Monaco

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Notizie: la ridondanza di un deserto

Notizie: la ridondanza di un deserto

Il panorama è veramente desolante. Ci riferiamo soprattutto a quello italiano, anche se, andando a verificare quotidianamente anche sulla stampa estera e su diversi media europei, statunitensi e russi presenti nella personale rassegna, le cose non cambiano poi molto. C'è differenza, naturalmente, sulla scelta dei temi e su come questi vengono affrontati da caso a caso, da giornale a giornale, da Paese a Paese, ma il motivo di fondo è abbastanza simile. 

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Quell'inutile difesa di (questo) lavoro novecentesco

Quell'inutile difesa di (questo) lavoro novecentesco

Maurizio Landini si batte come un leone, bisogna ammetterlo. Con capacità e convinzione. E con efficacia mediatica fuori dal comune. Non come la moscissima Camusso, praticamente incapace di suscitare la benché minima scintilla in chicchessia tanto in piazza quanto, soprattutto, in televisione.

Landini invece il suo mestiere lo sa fare benissimo. Il punto è che si tratta di un mestiere in rottamazione, tanto quello del lavoratore. Che quasi non c’è più.

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Rivoluzione, Ribellione. E "danni permanenti"

Rivoluzione, Ribellione. E "danni permanenti"

E insomma ci hanno dato anche degli “schiavi” e dei “collaborazionisti”. Epiteti che si aggiungono agli altri che abbiamo collezionato negli anni. Di provenienza diversa e variegata, ma soprattutto disostanza opposta, da caso a caso, secondo istinto del momento, nel corso della storia di questo giornale, ci è stato detto di tutto. Forse comunichiamo in modo troppo difficile, o contorto. O forse sono proprio alcuni soggetti che veramente non capiscono un cazzo e sono perduti per sempre.

A questo proposito prende corpo sempre di più un progetto che abbiamo in mente da tempo, e che riguarda la messa a fuoco di una particolare patologia che appare avere afflitto tante, troppe persone: ci sono soggetti che ormai hanno danni permanenti.

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Tutti a Bevagna (siamo figli del Medioevo, eccome)

Tutti a Bevagna (siamo figli del Medioevo, eccome)

Esistono ancora i luoghi dell’anima. Ne ho trovato uno incredibile. Attuale, presente, ancora intatto in questa modernità terribile che viviamo e che tenta di cambiarlo eppure orgogliosamente radicato in un solco che ha radici antiche ma ancora vive, in grado di parlare, di raccontarsi e di raccontarci.

Siamo senza dubbio figli del medioevo, noi, della terra e delle pietre, del lavoro artigianale e di un linguaggio che porta ancora oggi segni indelebili di quel tempo.

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È inutile, siamo spacciati

A livello globale, non c'è verso. Verrebbe quasi di dar ragione a Paolo Barnard - il che è tutto dire - quando "ritira" la firma da alcuni siti internet, oppure se la prende in modo sgangherato con vari "lettori" e "commentatori" dei suoi articoli on-line che non capiscono un accidente di ciò che ha scritto e però non si esimono dall'imbrattare i forum e gli spazi dei commenti con qualsiasi cosa. La prima che gli passi in mente.

Il caso è odierno, e mi riguarda da vicino.

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Quella serenità di trenta anni fa

Quella serenità di trenta anni fa

Fa un certo effetto pensare a 30 anni addietro. Perché di 30 addietro ho memoria storica personale e ricordi vividi. Quando leggo di serie storiche, di anni Cinquanta e Sessanta, posso solo studiarne i dati e immaginare. Ma il comunicato di Confcommercio della settimana scorsa non lascia scampo: "i redditi delle famiglie sono tornati indietro di 30 anni". Io quei tempi me li ricordo. Io c’ero. I redditi di mio padre e di mia madre me li ricordo eccome.

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Cocaina e puttane. E il Pil torna a crescere

Cocaina e puttane. E il Pil torna a crescere

Dunque brindiamo, diversi problemi sembrano andare verso soluzione. Uno su tutti, il rapporto debito/Pil e tutto quello che ne consegue, come per esempio la possibilità di non sforare troppo dal tetto del 3% e pertanto di poter spendere qualcosa di piùper rilanciare l’economia

L’Italia riparte? Si inverte la tendenza ormai in atto da quasi un decennio? Niente affatto. A far tutto ci pensa l’Europa, con una norma tipicamente europea.

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AAA Cercasi libreria disperatamente

AAA Cercasi libreria disperatamente

Sono in viaggio al Sud, dove il mare odora profondamente di mare, in una terra dove se da un lato non c'è stata la speculazione turistica che pure le avrebbe permesso di decollare economicamente, dall'altro lato non mancano, praticamente ovunque, oscenità urbanistiche derivanti dal connubio tra incultura e povertà. È così la Puglia della costa, se guardi il mare da una parte sei in paradiso, se guardi dall'altra parte, verso terra, ti sembra di attraversare l'inferno.

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Facebook per condividere la solitudine

Facebook per condividere la solitudine

Peggiori degli auguri ricevuti su Facebook ci sono solo le condoglianze. E avviene anche questo, a quanto si vede. Sia chiaro, non è nostra intenzione battere il tasto dello scadimento delle conversazioni e dell’anomia che concorre al tipo delle comunicazioni tra le persone al giorno d’oggi. È tema già sviscerato a fondo da tanti saggisti, visto che riguarda un cambiamento dell’uomo non solo dal punto di vista culturale ma anche da quello antropologico. Da addetti ai lavori del campo della comunicazione, però, uno studio sulla natura dei social network e delle modifiche nella società che esso porta con sé, e promuove più che rispecchiare, è praticamente obbligatorio.

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Il destino non è ineluttabile

Il destino non è ineluttabile

Nel corso di una nostra trasmissione radiofonica della settimana scorsa, un ascoltatore, intervenendo nella chat di interazione, ha sollevato un argomento non da poco: «Ha ancora senso studiare sui libri, continuare a informarsi, per reiterare ed affermare un principio (quello della decadenza del nostro modello, N.d.R,) che ormai è certo?». In altre parole: si sa già tutto.

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E invece sì: la Storia è aperta

E invece sì: la Storia è aperta

Concezione sferica della storia, dunque. La volta scorsa (qui) l’abbiamo contrapposta alle due più radicate nella cultura europea, ovvero quella lineare (derivante dalle religioni monoteiste, in primo luogo dal Cristianesimo) e quella circolare (derivante dalle culture contadine e dal paganesimo tradizionale). È una semplificazione, naturalmente, ma non si tratta - quella della concezione sferica della storia, che a differenza di un percorso dato da un inizio alla fine oppure di un andamento ciclico permette di rotolare in ogni direzione - di una mera suggestione. E neanche di una speculazione filosofica, pur se trova le sue radici nel Così parlò Zarathustra di Nietzsche. 

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