Ho avuto l’onore di intervistarlo, conoscerlo, frequentarlo, collaborarci, farci conferenze assieme, e soprattutto di leggere le sue migliaia di articoli e molti suoi libri, interessantissimi allora, e alcuni incredibili, a rileggerli oggi. Sono stato lusingato, assieme a Federico Zamboni, dalla sua richiesta di lavorarci assieme. E ancora di più sono fiero di averlo pubblicato nella rivista che ho diretto per un decennio.
Mi ha spiegato tanto sull’11 settembre, sempre con pacatezza, non affermando altro che un concetto: non ce l’hanno raccontata giusta. Non aveva la presunzione si sapere con certezza come fosse effettivamente andata. Ma sì, aveva la certezza appunto che la versione ufficiale fosse una fake news ancora prima che si diffondesse il concetto di fake news.
Soprattutto, aveva capito benissimo a cosa ciò avrebbe portato. Ed è stato uno dei pochissimi a sostenere, in modo molto più autorevole di me (ma assieme a me e a pochi altri, e di questo sono grato) che le “armi di distruzione di massa” in Iraq è stata un presa in giro colossale del mondo intero. Così come tante altre cose.
Mi ha raccontato la Russia come nessun media allineato mi aveva mai permesso di conoscere in oltre quaranta anni. Era uno dei pochissimi uomini che sono riusciti a liberarsi dei fantasmi del passato, con onestà intellettuale e tenacia. E non ha mai smesso di lavorare, neanche un minuto, per potare avanti quello che una volta - e oggi per pochissimi - si può definire il mestiere di giornalista.
Ci lascia uno “dei nostri”, uno che consideravo, almeno intellettualmente, tra le fila del mio esercito ideale.
La sua vita ha reso migliore la mia. Professionalmente e umanamente.
Ciao Giulietto, voglio ricordarti così: quando appena qualche anno fa, all’Alterfestival di Rovereto (grazie a Michele Luscia e Michele Berti) dicemmo - in sostanza - ciò che poi si sarebbe puntualmente verificato. E che oggi dovrebbe essere consapevolezza di tutti. Riguardo l’autorevole stampa e televisione mainstream…