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Ribelli: chiamata alle armi

Introduzione

Il Ribelle è un disadattato. E in larga parte lo è anche l’Homo Sapiens, per comunque la pensi, qualunque siano le sue opinioni, che sia ribelle o meno. Non può che essere così. Un po’ perché la cultura crea distanza. Consciamente o meno, tale distanza esiste. Perché la cultura per sua stessa natura mette distanza. Che la si faccia notare o meno, questa distanza si sente. La avverte chi ha una cultura, la distanza da chi invece ignora, e la sente anche chi ignora. Almeno chi, tra coloro che ignorano, si rende conto della sua ignoranza. Ma il termine disadattato è corretto anche perché è comprensibile che alla società che abbiamo attorno non ci si senta adatti. Non si sia a proprio agio. Il che comporta una seconda affermazione - siamo sempre nel campo delle opinioni personali, le quali peraltro si confermano nelle tante conferenze e incontri che continuiamo a fare in giro per l’Italia: il Ribelle, accomunando in questo termine con una forzatura pregna di speranza chiunque non si senta a proprio agio in questa società, chiunque tenti in un modo o in un altro di reagire e anche chiunque pur non trovando forza e metodi e complicità per agire in qualche modo avverta tutto il peso della erroneità di questo modello, è anche un disturbato.

Esattamente: un disturbato. È disturbato in prima persona da ciò che lo circonda, ed è considerato un disturbato, dagli altri, poiché notano in lui dei comportamenti del tutto fuori dalla norma, delle reazioni del tutto differenti dalla acquiescenza con la quale gli altri si conformano invece a tutte le regole che sono proposte e imposte.

E allora, se considerate le definizioni, se vi riconoscete almeno in parte a provare disagio in questo modello di sviluppo nel quale siamo, dobbiamo convenire che siamo un popolo di disadattati e di disturbati. Benvenuti nel clan.

Il che ha delle implicazioni, beninteso. Positive e negative. Dalle quali trarre consapevolezza, alle quali porre rimedio, ma dalle quali prendere coscienza anche in termini pro-positivi.

Intanto, prima ottima implicazione di un certo rilievo, siamo tanti. Molti di più di quanto non si creda. Siamo appunto “un popolo”. Poi però il fatto che pur sentendo il medesimo disagio è difficile che ci troviamo d’accordo sui rimedi per tentare di rimuoverlo. Il che è comprensibile: chi è uniformato si trova automaticamente d’accordo. Gli basta seguire la narrazione che gli impongono, le regole che gli danno, le uniche strade che gli lasciano percorrere e il gioco è fatto: marciano tutti uniti verso l’abisso, ognuno con gli occhi nel sedere dei due che lo precedono, come la più classica delle metafore sul gregge, e via tutti insieme annoiatamente. E perdutamente. Se invece quel gregge non lo si segue, se si esce da quelle strade segnate, se non ci si uniforma alle regole imposte, le possibilità si ampliano a dismisura. Le strade, o meglio i sentieri, si moltiplicano all’infinito. E rimanendo - apparentemente - soli, ognuno cerca per sé le soluzioni e i percorsi che riesce a concepire e a praticare. Siccome mancano punti di riferimento condivisi (anche qui, come vedremo, solo apparentemente) regna sovrana l’anarchia, o l’abitudine a fascinazioni del passato ormai del tutto inadeguate alla situazione attuale e tentativi di vario tipo e in ordine del tutto sparso, scoordinato e sconclusionato. Non senza motivi di interesse, sia chiaro, ma appunto diluiti nelle solitudini di ognuno. Con in più un altro elemento da rilevare: la diffidenza assoluta nei confronti dell’altro. Dell’altro in qualche modo, a suo modo, ribelle intendiamo. Perché nei confronti del gregge non si prova diffidenza, ma semmai disprezzo. Lo si considera il peggio del peggio, perduto, spacciato. O al minimo lo si considera penosamente. E si continua tra un milione di difficoltà, quelle di chiunque esce dalle strade segnate, a cercare di percorrere la propria ma, appunto, per gli ovvi motivi della pericolosità e della difficoltà che una condotta del genere porta con sé, diffidando di chiunque si incontri per la propria strada. In altri termini un lupo guarda con occhi differenti un gregge che gli passa davanti rispetto a un altro lupo solitario che potrebbe incrociare nella steppa. Il lupo il gregge lo riconosce e sa che il suo destino è quello di essere sbranato. Ma quando il lupo incontra un altro lupo le cose si complicano, si marca il territorio, si diffida dell’altro, ci si scontra oppure molto semplicemente si decide di non affrontarsi e di cambiare strada, ognuno per la propria. Soli. A evitare i cecchini ognuno per sé.

Però si può anche scegliere di fare branco. Ecco.

Senonché non siamo solo disadattati e disturbati, ma anche non adattabili e disturbanti. E la cosa, qui, inizia a prendere una piega interessante. Perché un soggetto che non si adatta, e che disturba, rappresenta un granello di sabbia nell’ingranaggio. Da solo può poco, se non solo e in parte per sé, ma cento, mille, un milione o un miliardo di granelli rappresentano un problema serio, per chi intende continuare a far girare la macchina. Ecco, potenzialmente siamo in grado di farla bloccare, quella macchina. Se solo ne prendessimo consapevolezza, se solo capissimo che questo disagio, trasformato in azione, anche in modo non del tutto e precisamente coordinato, può realmente rappresentare un sabotaggio.

Ora, evitare di farci riconoscere e incontrare, unire e coordinare, è esattamente ciò che chi governa il meccanismo tenta di fare. Per ora riuscendoci, peraltro. Ma la storia è aperta, e le possibilità sono ancora intatte. Se solo ce ne convincessimo.

Sommario

Introduzione

Intanto, ci siamo

Ma insomma chi siamo?

E dunque?

Riunirsi. Attorno a (e per) cosa?

E poi ovviamente la sovranità

Note

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