Credo che non ci sia stato un solo giorno in vita mia in cui non abbia pensato almeno un istante alla morte. Certamente almeno da quando ho preso coscienza di esserci, di esistere. Mi aiuta costantemente questo pensiero.
Tutto fu abbastanza chiaro quando da adolescente scoprii il concetto "un tempo". E fu Hermann Hesse ad esplicitarlo per me. È iniziato tutto da lì. E non finirò mai di essere grato alla mia professoressa di storia e letteratura, al secolo Anna Giaroli, la quale capendo molto ben prima di me che avevo clamorosamente sbagliato indirizzo di studio tentando di diplomarmi in un Liceo Artistico mentre avrei dovuto senza ombra di dubbio indirizzarmi verso il Classico, in pratica mi prese per mano e mi insegnò tutte le altre materie che sapeva, eccome se lo sapeva, sarebbero poi state balsamo per i miei anni futuri. Mi mise tra le mani dei libri e dei testi teatrali. E poi scoprii per la prima volta sul serio le migliaia di volumi presenti nella mia casa avita che sino a quel momento consideravo solo come oggetti per costruire capanne con mio fratello. Alla fine sono finiti nella mia, di casa, quei libri. E a quelli se ne sono aggiunti una infinità di altri. L'ultimo censimento risale a una manciata di anni addietro, per intenderci, a poco prima di varare La Voce del Ribelle. Superavano di poco i diecimila. Adesso non saprei. Sul serio, tra quelli arrivati in redazione e quelli acquistati settimanalmente in questi anni sarebbe stato difficile e in fin dei conti inutile tenerne il conto. Facile, invece, capire che non riuscirò a leggerli tutti. Questione di tempo, già. E appunto, ancora una volta. Tra quelli che sfoglio, quelli che leggo parzialmente, magari un capitolo che mi serve mentre lavoro, quelli che rileggo, chioso, sui quali prendo appunti e quelli nuovi che vanno necessariamente studiati, oltre a quelli che decido di leggere per il solo piacere di farlo, me ne passeranno tra le mani un centinaio ogni mese. Ma più di un paio nuovi a settimana, in qualche caso tre, non riesco proprio ad assorbirli degnamente.
Il conto è presto fatto, e da un lato fa paura. Anche ammesso di riuscire a viverne un centinaio nuovi all'anno, diciamo con molto ben augurio per un altro trentennio, potrò arrivare ad averne letti sul serio altri tremila in tutto. Una miseria, in fin dei conti. Eppure è quello che umanamente mi spetta. A patto di riuscire a prenderlo.
Una fortuna, in realtà. Come il fatto di pensare ogni giorno alla morte. Perché ogni volta, anche ogni volta in cui decido di prendere un libro, sono costretto a esercitare la scelta. Il giudizio.
È insomma il concetto di limite che aiuta a vivere il presente, in fin dei conti l'unica cosa, assieme al passato, che davvero possediamo. Il che, riconoscere e tenere ben presente questo limite, nel mondo attuale dell'illimitatezza, della boiata secondo la quale "tutto è possibile", è una bussola indispensabile per orientarsi. Del resto non ci si può che orientare se non all'interno di limiti, e allo stesso tempo non è possibile prendere una direzione se non si ha in testa almeno una destinazione, per vaga, anelata o supposta che sia. Chi dice di navigare nell'infinito non naviga, ma vaga. Che è cosa diversa. Perché l'infinito, l'illimitatezza, attiene al vago, al lasciarsi andare. È in altre parole il veicolo della dispersione.
Mi fanno ridere le persone che dicono di volersi "distrarre", ogni tanto. Di fare cose "a perdita di tempo". Ecco, io non ho proprio tempo da perdere. Non voglio perderne. E semmai ho bisogno di concentrazione, non di distrazione. Anche l'ozio è concentrazione, altro che perdita di tempo.
È insomma alla creazione costante del presente che si deve tendere. Credo che abbiamo il dovere di costruirci ciò che poi sarà un ricordo. E quello di mantenere vivo lo spirito di servizio verso il luogo nel quale siamo, verso la comunità cui in ogni caso apparteniamo. Sì, esistono anche metodi d'immortalità a buon mercato. I figli, dicono: "Che ti riempiono la vita". Evidentemente vuota sino ad allora, implicitamente. E, sia chiaro, senza sminuire di nulla questo atto di creazione suprema. Ma figlio è tante cose. E paternità e maternità altrettanto, anche ben oltre la riproduzione.
Dunque di nuovo il tempo e come utilizzarlo, visto che è la cosa più preziosa in quanto di scarsità assoluta. Pensare periodicamente a questo basta in fin dei conti a prendere qualsiasi decisione, in qualunque ambito, persino per le cose più piccole. Se ogni istante diventa fondamentale, lo è anche ogni azione, ogni scelta, ogni decisione. E seguendo questo elementare criterio quasi tutto diventa molto più semplice e gratificante. Il resto non conta.