Una riverniciata, l’ennesima. Un nome, forse provvisorio, che come al solito può significare tutto e niente: “Liberi e uguali”. Un leader, diciamo così, che è piuttosto un testimonial: siccome viene dalla mitologica “società civile”, ed è stato tra i magistrati più noti dell’Antimafia, dovrebbe servire da scioglimacchia istantaneo. Lo aggiungi al bucato, sporco da fare schifo, della politica politicata, ed ecco che le camicie, le mutande e i calzini degli ex PCI, ex ulivisti, ex PDS-DS-PD, torneranno a risplendere come nuovi. Ahò.
La baracconata è andata in scena ieri, all’Atlantico Live di Roma. Nel dubbio (in quanti verranno? in quanti non verranno? in quanti non si sogneranno neanche di venire?) gli organizzatori si sono scelti uno spazio medio-piccolo, nell’ordine dei 2/3mila posti. Così l’hanno riempito agevolmente, a uso e consumo delle videocamere, e si sono regalati il primo spot mediatico. Una platea infervorata e mandata in solluchero da Piero Grasso, attuale presidente del Senato e novello pseudo leader, piazzato là sul palco a concionare a suon di appunti, non sia mai che gli sfuggisse un concetto o una sottolineatura del calibro di «un appello ai ragazzi: prendete in mano il vostro destino» o «il nostro progetto è aperto e accogliente». Oppure, vecchio hit strappacuore, la tiritera dell’antifascismo che si indigna, prendendo a pretesto il recentissimo blitz comasco di un gruppetto di militanti del Veneto Fronte Skinheads: «no a inaccettabili intimidazioni: mi ha colpito la rabbia di quei quattro fascisti. Fascisti, diciamolo. C'è un'onda nera che monta. A partire dalle periferie delle nostre città. E allora è da lì che dobbiamo tornare, è da lì che dobbiamo ripartire».
A proposito di hit: il pezzo guida della kermesse è stato “The Show Must Go On” dei Queen. Sul piano strettamente musicale è un bel passo avanti, dopo la sciropposa e insopportabile “Inno” di Gianna Nannini, scelta da Pierluigi Bersani per la campagna elettorale del 2013. Ma in chiave propagandistica è una totale sciocchezza. Una via di mezzo tra l’ammiccamento ruffiano da centro commerciale e il lapsus rivelatore: The Show Must Go On?! Lo spettacolo deve continuare?!
Non ci arrivano proprio, a capire che un inno non è una sigla. Che la vita di partito non è uno show. Che il dibattito politico non è una passerella televisiva.
Per “tornare nelle periferie” non gli basterà nemmeno lontanamente, rispolverare qualche mp3 del tempo che fu.
Federico Zamboni