Tweet This

Isis e affini: chi si stupisce che le conseguenze arrivino anche da noi?

Nelle pieghe degli insulsi dibattiti, soprattutto televisivi, attorno alla vicenda Charlie Hebdo, esce qualcosa di un leggero, leggerissimo interesse. Fatta la tara a tutte le dinamiche elettorali interne che stanno portando avanti alcuni infausti esponenti della nostra politica interna, e non sottolineando, questa volta almeno, l’assoluta mancanza del benché minimo dubbio su una operazione, quella dei presunti colpevoli, la cui versione ufficiale consta di tinte più comiche che ridicole, oltre che tragiche, naturalmente (solo Giulietto Chiesa, su La7 durante una trasmissione de La Gabbia, ci pare abbia sollevato qualche ragionevolissimo dubbio), c’è almeno un particolare che viene sollevato appena e poi subito riposto senza il minimo approfondimento che pure meriterebbe.

L’interrogativo, che qualcuno accenna a fare, risiede sulle eventuali responsabilità occidentali nei confronti della nascita stessa dell’Isis. Nei vari studi televisivi, e non parliamo nemmeno nei giornali, tale argomento non viene colto praticamente da nessuno, eppure c’è da segnalare il fatto che fuori tempo, in ritardo clamoroso e con la pennina del maestrino di prima nomina, un pelo di dubbio in qualcuno inizia a insinuarsi. Ben svegliati, ben scesi dal letto, verrebbe da rispondere, visto che solo oggi, e come abbiamo visto senza alcun seguito di approfondimento, almeno qualcuno tenta flebilmente di sottolineare una realtà che da anni è invece ben chiara e approfondita da tutti quei media considerati di controinformazione se non proprio complottisti e da alcuni intellettuali presto isolati mediaticamente.

Ora, dell’enorme conflitto tra sciiti e sunniti, acutizzatosi dopo l’invasione degli Stati Uniti e dei suoi alleati all’Iraq in seguito alle menzogne assolute portate avanti da Collin Powell in merito alle armi di distruzione di massa (mai trovate), si sa praticamente tutto - naturalmente sempre per chi abbia (avuto) l’interesse di conoscere la situazione. Ma non è ancora chiaro, neanche lontanamente, il quadro generale di alcune operazioni, sempre condotte dall’impero a stelle e a strisce, che ha destabilizzato pesantemente una area al momento uscita completamente dal seppure minimo controllo.

Agli insuccessi in Iraq, in Siria, in Libia e in Ucraina, una delle ultime notizie di una certa comicità, non fosse che si tratta invece di aspetti atroci, riguarda l’Afghanistan, ovvero il pantano per eccellenza della spavalderia statunitense. Qualche giorno prima della fine dell’anno passato, si è conclusa in pompa magna la campagna dell’Isaf, la (molto sedicente) forza internazionale di assistenza alla sicurezza, che ha annunciato la fine delle operazioni e il passaggio del testimone a una più ridotta missione internazionale.

La notizia, nel suo complesso e per come si sono svolte le cose, ha una serie di caratteristiche che sfociano fatalmente nel ridicolo, se solo qualcuno se ne accorgesse.

La cerimonia è stata effettuata il 28 dicembre. In gran segreto, cioè resa nota solo a cose fatte. Attenzione ai termini perché sono importanti: “in gran segreto”. Il generale Usa John Campbell (nella foto di apertura), ha annunciato a Kabul la fine delle operazioni di combattimento e il passaggio, come detto, a una più ridotta missione internazionale che viene indicata, letteralmente, di “assistenza e formazione”. La cosa più importante per gli Usa, al solito, è stato scegliere il nome di questa nuova fase: Resolute Support. 

Veniamo agli aspetti comici, seguendo le parole dello stesso Campbell: «abbiamo portato gli afghani fuori dall’oscurità e dalla disperazione, e dato loro una speranza per il futuro», aggiungendo che «con la nuova missione non vi sarà mai più un ritorno ai giorni bui del passato».

La realtà è molto differente, e la si capisce innanzi tutto dal fatto che la cerimonia è stata tenuta segreta per evitare la possibilità di attentati o ritorsioni. Dal che, in modo elementare: può considerarsi risolta una questione di tale genere se proprio una cerimonia così importante viene effettuata in gran segreto onde evitare attentati?

Anche i dati smentiscono la propaganda:  

All’inizio di dicembre l’Onu ha diffuso preoccupanti cifre sull’aumento delle vittime civili, sostenendo che i 3.188 morti registrati alla fine di novembre 2014 rappresentavano un aumento di ben il 19% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. A questi decessi devono aggiungersi gli oltre 4.600 soldati e agenti di polizia afghani uccisi soltanto fra gennaio e ottobre di quest’anno. Una cifra che in 10 mesi è stata superiore a tutte le 3.485 perdite (48 italiane) accusate dalla Coalizione internazionale dal 2001”. (La Stampa)

E ovviamente è arrivata la risposta dei resistenti locali: uno dei portavoce dei talebani, Zabihullah Mujahid, immediatamente dopo la cerimonia ha fatto sapere, in modo eloquente, che «i 13 anni di intervento della Coalizione internazionale sono stati un fallimento» e che «nessun negoziato con il governo del presidente Ashraf Ghani sarà possibile in presenza di soldati stranieri sul territorio afghano».

Altro che situazione risolta, insomma. Tanto che, e torniamo alla comicità della cosa, qualche giorno prima lo stesso Obama - e sempre in gran segreto con l’assoluto silenzio dei media - aveva firmato un protocollo per il nuovo corso della guerra. I dettagli sono esilaranti: l’Isaf, dopo 11 anni dei 13 di guerra, fa fagotto e se ne va, ma allo stesso tempo è stato siglato un nuovo accordo (appunto Resolute Support) tra la Bse (Usa) e la Nato (Sofa) per una durata di ulteriori dieci anni e con la presenza di 12-13 mila uomini messi a disposizione dalla Nato stessa e da altre 14 nazioni.

In pratica un Bot rinnovato di altri 10 anni. 

E dunque: di quale situazione “risolta” si parla? Di quale Paese pacificato visto che si tiene tutto in gran segreto per evitare ritorsioni? Di quale disimpegno?

La realtà generale (bel oltre il pur dimenticato Afghanistan), ribadiamo, è molto differente, ed è lontanissima da quella che viene utilizzata anche in questi giorni per cercare di capire la situazione post-Charlie. I danni enormi creati dagli Stati Uniti (e vassalli alleati, tra i quali noi) e dalle loro pesanti, retoriche e ipocrite azioni di aggressione nei confronti di quest’area geopolitica vastissima che include (in modo non esaustivo) i Paesi che abbiamo citato, hanno appena iniziato a far vedere le loro conseguenze.

La destabilizzazione di questa polveriera è appena agli inizi, e ovviamente, essendone noi europei (italiani inclusi) stati responsabili, è ridicolo comportarci come cadendo dalle nuvole quando qualche realtà, di quella guerra in corso, si affaccia dalle nostre parti. Ce l'avevano promesso, del resto: se avessimo continuato a sganciare bombe e a interferire con i fatti che non sono "nostri", avrebbero portato la guerra a casa nostra. In modo ufficiale, non ufficiale, o per mezzo di teste calde che se ne infischiano dei vari richiami alla pena di morte (Le Pen, in Francia) per atti di questo genere: loro di morire non hanno alcun timore, anzi.

Valerio Lo Monaco

Iscriviti alla mia mailing list personale. (No spam, No Ads. Promesso)

* campi richiesti