Tweet This

Se la Germania ci lascia con il cerino in mano

Francia in deflazione. E Germania quasi. Dunque, ci siamo: la deriva è ormai estesa a ogni Paese dell’area euro. Con due aggravanti, anzi tre.

La prima: nei conti dei vari istituti di statistica, soprattutto quello francese, al momento non vengono calcolati i cali enormi dei prezzi nel settore energetico, come ad esempio quello del petrolio, arrivato a meno di 60 dollari al barile. La seconda: i debiti pubblici dei vari Paesi, a questo punto, diventano sul serio un rischio di enorme detonatore, visto che nessuno può aiutare qualcun altro (ammesso che possa averne la volontà). La terza: anche nel caso in cui Mario Draghi si decidesse, attraverso la Banca Centrale Europea, a varare il Quantitative Easing tanto atteso, e tanto osteggiato dalla Germania, le cose non potranno migliorare.

In merito a quest’ultimo punto, basti il caso più eclatante, ovvero quello del Giappone: anche in presenza di una creazione enorme di moneta da parte della Bank of Japan, le cose non stanno affatto migliorando. Semplicemente, il trucco non regge più, l’illusione è stata spostata troppo in là e dunque anche il sostegno, ormai tutt’altro che temporaneo e anzi strutturale alla circolazione di moneta, non è in grado di rallentare una deriva che si può praticamente definire mondiale. 

Non tragga in inganno il risultato elettorale giapponese, che ha visto la riconferma di Shinzo Abe alla guida del Paese con una percentuale altissima di preferenze: queste ultime sono il risultato di una affluenza alle urne bassissima, ben al di sotto del 50%. Neanche la metà dei giapponesi è andata a votare, e la riconferma del premier uscente deriva più che altro dal fatto che anche lì non vi sono alternative credibili.

Tornando all’Europa le cose dovrebbero essere a questo punto ancora più chiare. I trucchi cosmetici per addolcire i numeri disastrosi da parte dei vari Paesi non stanno servendo praticamente a nulla, e non riescono più a mascherare una situazione tanto degradata. Per fare solo un esempio, oltre a quello già citato del non conteggio del deprezzamento del petrolio da parte dell’INSEE (istituto di statistica francese) rammentiamo che dalle nostre parti sono entrate nei vari conteggi anche le stime relative al consumo di droghe e della prostituzione. Una barzelletta, ma attraverso la quale, come si vede, non si riesce neanche più a sorridere.

I prezzi sono in calo anche in Germania, come stiamo vedendo, e dunque anche il Paese che più di ogni altro ha guadagnato dall’adozione dell’Euro e dalla criminosa scelta (cui gli altri Paesi sono stati obbligati) di conferire denaro al fondo salva Stati, ben presto riconosciuto per quello che è, ovvero fondo salva Banche (tedesche in primis), non potrà continuare a lungo a fare la voce grossa. Naturalmente Jans Weidmann, a capo della Bundesbank, si è precipitato in televisione per dire che «anche nel caso di una inflazione sotto lo zero non si può parlare di deflazione». E di cosa, allora, di grazia?

Tanti anni fa ormai, scrivemmo che il primo Paese europeo che avesse deciso di ripudiare il debito si sarebbe salvato e avrebbe lasciato gli altri con il cerino in mano. Ora le cose si sono rovesciate: al momento non è possibile alcuna manovra, in tal senso, da parte dei governi dei Piigs, e anzi è proprio la Germania che già da tempo sta studiando una exit strategy. 

Prima che l’Euro si sfaldi in modo incontrollato, diversi elementi portano a sostenere che sarà probabilmente essa a lasciare la moneta unica (o ad affiancarla con un “nuovo Marco”) lasciando gli altri Paesi, in una mossa sola e tutti assieme, con l’incendio in casa. Al più legandosi a qualche Paese del Nord Europa, ma di certo evitando di continuare a condividere con quelli del Sud la deriva attualmente in corso.

È ovviamente impossibile, a meno di sperimentare altri mestieri, ovvero quelli di chi “prevede il futuro”, sapere con anticipo esattamente come andranno le cose. Con molta probabilità la scintilla che scatenerà la valanga europea sarà rappresentata dal primo Paese preso di mira per la speculazione finale sul debito pubblico: sarà facile accorgersene, a quel punto. Il primo di noi, sotto attacco, trascinerà tutti gli altri con sé. E ci sono diversi segnali i quali fanno pensare che potremmo essere proprio noi italiani a rappresentare il bersaglio più ghiotto: siamo uno dei Paesi con maggiore debito pubblico, con una guida politica del tutto aleatoria, e con una situazione economica, relativa ai fondamentali, che non lascia intravvedere la benché minima possibilità di inversione di tendenza. E poi abbiamo le dimensioni economiche “giuste” per far iniziare il domino.

I dati sul nostro debito pubblico sono eloquenti, e dopo un leggero calo di un trimestre addietro, ora la cifra di quasi 2200 miliardi inizia a prendere la parabola ascendente verso l’infinito tipica delle situazioni fuori controllo. La nostra economia non riparte perché non può ripartire (ammesso che la crescita sia la strada buona) perché i vincoli cui dobbiamo sottometterci da che abbiamo perso la sovranità monetaria e politica impediscono qualsiasi spazio di manovra. Dunque la situazione non potrà che peggiorare ulteriormente.

Come in tutte le situazioni critiche, arriva il momento in cui l’accelerazione diviene improvvisa e incontrollabile, come una valanga inarrestabile, appunto, e da quel momento lo schianto diviene imminente non lasciando più alcuna via di scampo.

Ribadiamo: un attacco a uno dei Paesi in crisi (gli indiziati principali siamo proprio noi, per dimensioni economiche e simboliche) sancirà la disgregazione dell’Euro.

È impossibile, sul medio e ancora di più sul lungo periodo, immaginare una Germania che continua a professare austerità per gli altri in uno scenario in cui questa politica continua ad avvitare su se stessa, in una spirale infernale, il percorso della recessione: si taglia, c’è meno denaro in circolazione, si spende meno, e si è al punto di partenza con una situazione ancora più grave. Così come è difficile pensare che i tedeschi si piegheranno, a quel punto, nel sostenere gli altri Paesi sul serio. Non c’è stata unione di intenti e solidarietà quando le cose andavano teoricamente bene, figuriamoci oggi. E figuriamoci domani, quando le cose andranno ancora peggio.

Certo, l’alleggerimento della BCE sortirà qualche effetto: un po’ di denaro a pioggia per dare l’illusione che le cose stiano iniziando a muoversi nella direzione della ripresa. È chiaro che un tentativo verrà fatto. Molto meno chiaro, anzi francamente improbabile, che questo riuscirà a sortire effetti tanto importanti, e tanto rapidi, dal far arrestare la caduta e anzi dall’invertire la situazione per ricomporre, almeno temporaneamente, gli enormi squilibri che stanno portando piano piano a una presa di coscienza non più rimandabile.

A questo punto, o meglio, arrivati a questo punto, è dunque lecito ormai supporre con buona approssimazione che tutte le reprimende tedesche sono servite, e stanno servendo, non tanto per imporre agli altri Paesi europei di continuare a pagare sorreggendo gli squilibri attraverso cui la Germania ha guidato economicamente l’Europa sino a ora, quanto proprio a farle prendere tempo. Il tempo necessario a mettere a punto il piano di uscita controllata (o di affiancamento con una nuova moneta).

Piano guidato per la Germania, naturalmente, che sarà la prima ad attuarlo. Gli altri, tra i quali noi, subiranno il crollo e l’uscita in modo del tutto incontrollato. O risulta che nei vari salotti politici, per esempio dalle nostre parti, vi sia qualcuno che abbia allo studio uno straccio di strategia per difendersi in una situazione del genere?

 

Valerio Lo Monaco

Iscriviti alla mia mailing list personale. (No spam, No Ads. Promesso)

* campi richiesti