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Quel media che manca

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Tra i tanti suggerimenti e quesiti che riceviamo, che si tratti di email, di commenti ai vari articoli sul sito, o anche in occasione di incontri telefonici o personali, c'è una domanda che ritorna periodicamente, alla quale rispondiamo ogni volta ma che pure appare non esaurirsi mai.

Si tratta evidentemente di un tema ricorrente e assai sentito da molti. Del che ci sono tutte le ragioni, beninteso. 

L'ultima volta, in ordine di tempo, è relativa a una email che abbiamo ricevuto da un nostro lettore di lunga data. Cerchiamo questa volta di rispondergli in modo diffuso, e pubblicamente, contando molto sul fatto che la risposta possa essere utile, e forsedefinitiva, per quanti sono interessati alla stessa cosa.

Dunque ecco l'email e la richiesta, nella quale molti troveranno domande che ci hanno fatto in passato o che a vario titolo vorrebbero farci.

Ciao Valerio, 

un piccolo desiderio. Possibile che non si trova un modo per creare un'unione e dar vita ad un contenitore dove fare dibattiti seri su economia, politica e altro? Io leggo La Voce del Ribelle, poi guardo Giulietto Chiesa su Pandora Tv, poi ancora ascolto Nando Rossi e la Benini che vanno in giro, e poi ancora quelli della Decrescita da Latouche a Pallante. Alla fine mi trovo a guardare la Gabbia con dibattiti fasulli e orchestrati sulla rissa. Ma un Bagnai o un Borghi che si scontrano in un dibattito serio con qualche economista del potere, con un grillino o addirittura con un Pallante come e dove si può vedere? Come unire le forze (anche finanziarie) tra tutti i protagonisti che combattono il sistema e creare una forza d'informazione mantenendo ognuno il proprio pensiero e la propria linea editoriale?

Grazie.

Andrea Pucciarini

Sintetizziamo: creare una unione, almeno mediatica, dove poter trovare in un unico luogo tutta una serie di temi, di giornalisti, di saggisti che a vario titolo, pur con le dovute differenze, possono essere annoverati in quella che oggi è una costellazione di idee e progetti che, pur nella loro diversità, si richiamano a un ambito, a una visione del mondo e a una chiave di lettura quanto meno vicine e che può - e dovrebbe - essere resa più visibile per il semplice motivo che l'unione fa la forza (nell'oggetto della email ricevuta, del resto, si legge giustamente "Divide et Impera").

La risposta non può che essere articolata e non può, per quello che ci riguarda, prescindere dalla nostra esperienza diretta, se non altro dal varo di questo progetto, ovvero dal lontano 2008 (o dal lontanissimo 2005, se consideriamo come data di inizio la messa in onda di una delle prime webradio in Italia, RadioAlzoZero, che era realizzata già allora da buona parte dei giornalisti che tuttora lavorano al Ribelle).

Partiamo dalla fine, lapidari: il modo per creare questa "unione", almeno noi, non lo abbiamo trovato. Pur avendolo cercato costantemente, praticamente ogni giorno, non ci siamo riusciti. 

Il nostro mestiere si è sempre svolto su due direttrici ben precise: da una parte il lavoro giornalistico di raccontare la realtà, e soprattutto di spiegarla in modo differente rispetto agli altri media, passandola dal prisma di una chiave di lettura che è sempre stata ben manifesta; dall'altra parte il lavoro saggistico, mediante editoriali e speciali, per portare avanti un discorso generale anche in questo caso il più coerente possibile e dalle linee ben definite.

Questo duplice impegno, sia in chiave scritta, sia in chiave audio o in video (con le esperienze del giornale on-line, del Mensile cartaceo, della WebRadio e delle trasmissioni in streaming video) oppure mediante le tante conferenze che abbiamo fatto in giro per l'Italia, si è dipanato attraverso una duplice strategia. In primo luogo la "nostra" produzione originale (ci riferiamo ai vari editorialisti e collaboratori che nel corso degli anni si sono succeduti). In secondo luogo nel tentativo di includere, ascoltare, far intervenire una serie infinita di altri soggetti per dialogare con noi e con tutti i nostri lettori e ascoltatori. Per quest'ultimo punto - ci pare - siamo state una delle pochissime realtà in cui, mediante le trasmissioni in audio e in video in diretta e attraverso i sistemi di chat on-line durante le interviste e i colloqui, i lettori e gli ascoltatori hanno potuto sul serio interagire con i nostri ospiti, ponendo loro domande in tempo reale.

Per quanto attiene al primo punto parliamo ormai di diverse decine di migliaia di articoli e mini-saggi tuttora disponibili nel nostro archivio. Per quanto riguarda la presenza di altri soggetti e in particolare le interviste, abbiamo quasi raggiunto il migliaio di unità. Come dire: non ci siamo mai risparmiati e oggi persistono una produzione e un archivio praticamente sterminati a conferma di ciò.

Il criterio che abbiamo sempre - sempre - utilizzato per scegliere le persone, i giornalisti, gli scrittori e gli studiosi che abbiamo avvicinato per interventi e interviste è stato uno solo: chiunque avesse avuto qualcosa di interessante da dire per noi e per i nostri lettori e ascoltatori (ovviamente a nostro avviso, visto che qui in redazione ogni cosa è sempre stata scelta e ponderata a livello collettivo).

Per intenderci, dei nomi che sono contenuti all'interno della email ricevuta, abbiamo ascoltato tutti. Ma proprio tutti, Latouche incluso (l'intervista è ancora sul nostro sito). Solo Alberto Bagnai, contattato ripetutamente negli ultimi periodi in cui è andata in onda la WebRadio, ci aveva confermato per due volte la sua disponibilità a intervenire ma poi - cosa che tuttora non ci spieghiamo - malgrado le nostre ripetute email per perfezionare il tutto e mandarlo in onda, non ci ha degnato neanche di una risposta. Peccato, perché ci avrebbe fatto molto piacere ascoltarlo e dialogare con lui e malgrado questo suo rifiuto continuiamo a considerare il suo lavoro degno di assoluto interesse.

A fronte di questo impegno di carattere "inclusivo" di tutte le realtà che abbiamo reputato utili da contattare (anche bloggers, editori, scrittori, giornali cartacei e on-line attraverso vari loro esponenti) e che sono stati - a quanto ci risulta - ben lieti di partecipare, noi del Ribelle siamo stati sempre (sempre!) esclusi da qualsiasi rimando, citazione e inclusione di qualsivoglia tipo. Silenzio assoluto. Semplicemente, a livello mediatico, non siamo esistiti se non per le migliaia di persone che ci hanno seguito fedelmente.

Ora, sia chiaro, aspettarsi inviti di vario tipo da una delle tante espressioni dei media mainstream sarebbe stato ingenuo. Ben consci del teatrino che viene messo in scena all'interno di quelle redazioni e di quelle trasmissioni, figuriamoci se qualcuno mai si sarebbe arrischiato a far partecipare, magari in diretta, un giornalista del calibro di Federico Zamboni. A Federico sarebbero bastati un paio di interventi, un paio di risposte, in circostanze del genere, per far diventare viola il conduttore o l'ospite di turno, e per dimostrare in modo incontrovertibile la vacuità e la erroneità dei presupposti e dei metodi con i quali vengono affrontati quei temi che vengono costantemente trattati in occasioni del genere. Roba dal "gioco, partita, incontro", spegnete la tv e tutti a casa. Impossibile insomma sperare di entrare in quegli spettacoli ben oliati sapendo che saremmo stati in grado di farli inceppare in pochi minuti.

Ma dal resto, cioè da tutte le realtà che abbiamo cercato di includere per i motivi che abbiamo spiegato poc'anzi, francamente ci aspettavamo più apertura. Più volontà di inclusione a loro volta. Più capacità di capire, appunto, che l'unione avrebbe generato più forza. E invece, come detto, è stato il silenzio.

Naturalmente ci siamo chiesti ripetutamente il perché di tale comportamento. E ovviamente ci siamo dati le risposte, scaturite da mera logica e solo in qualche caso sfociate in supposizioni che però, al momento, non possono essere confermate né smentite.

Vediamo. 

A nostro avviso, i motivi dell'ostracismo nei nostri confronti sono, a grandi spanne, tre. Uno molto piccino. Un altro mortificante. E un altro propriamente strategico. (E parliamo unicamente delle realtà "nostre", ovviamente, non certo del circuito mainstream).

Andiamo con ordine. 

E dritti al primo punto senza infingimenti: alcuni degli altri hanno avuto timore di perdere, almeno in parte, il "proprio" pubblico. Ciò che l'informazione consuma è l'attenzione del lettore. E siccome questa è limitata, ogni unità in più, ogni articolo, contenuto o secondo passato a leggere o ascoltare qualcosa o qualcuno sottrae tempo e attenzione per leggere altro. Come dire: se si intende parte del proprio lavoro come una battaglia per assicurarsi l'attenzione del lettore, ogni spostamento di fuoco rispetto all'io, per esempio nei confronti di qualcun altro da leggere o ascoltare, riduce la propria visibilità. E dunque, perché dare spazio agli altri? E ancora: perché dare spazio ad "altri" che magari hanno qualcosa di più interessante, di più preciso, di più giusto da dire rispetto a quello che ho da comunicare io?

Ecco: ognuno faccia propria tale riflessione o la contesti, ma una delle risposte che ci siamo dati è questa, anche perché conosciamo veramente a fondo le mentalità dell'ambiente (giornalistico ed editoriale) nel quale ci muoviamo e nel quale lavoriamo da tutta la vita. E perché siamo ben consci di quello che abbiamo prodotto sin qui. E che è tuttora disponibile a chiunque.

Secondo punto: alcuni degli altri non ci hanno reputato degni di essere ascoltati, inclusi, rilanciati. O, molto semplicemente, non hanno avuto la mera volontà di andarci a conoscere per sincerarsi di ciò che abbiamo prodotto (in quest'ultimo caso, chiara incapacità di fare il proprio mestiere). Diversi ci hanno saccheggiato spudoratamente. Scrivono oggi nelle loro recenti realtà editoriali cose che noi abbiamo scritto un lustro addietro, e le "vendono" come rivelazioni frutto di chissà quale capacità analitica.

Non c'è una sola riga, relativa alle macro-analisi e agli scenari che abbiamo pubblicato negli anni che non si sia puntualmente verificata, e che non sia stata poi ripresa e rilanciata (senza citarne la paternità come noi invece abbiamo sempre fatto, quando necessario) se non quando ormai, praticamente, di dominio pubblico.

È imbarazzante, ma dobbiamo pur dirlo, senza mettere su una maschera di finta, e fuori luogo, modestia. E ci si perdoni (speriamo) l'auto citazione.

Terzo punto: molti, pur di difendere il proprio piccolo orticello, non hanno capito, proprio dal punto di vista strategico, che una unione delle forze sarebbe stata più efficace non solo in senso generale - sempre ammesso che veramente abbiano a mente e sposino la volontà generale che ha animato da sempre questo progetto: diffondere il più possibile idee e chiavi di lettura di un certo tipo al fine di incidere sulle mentalità di quante più persone possibili per innescare il cambiamento radicale della società che auspichiamo. Cioè, letteralmente, un progetto metapolitico - ma anche a livello personale.

Unire più micro realtà differenti avrebbe acceso i riflettori maggiormente sulla nostra "area" e in conseguenza, fatalmente, su ognuno di quelli che vi si dedicano.

Niente da fare: hanno tutti preferito attestarsi nel proprio micro terreno invece di dare vita a una Camelot mediatica. Ma non solo: senza arrivare neanche a ipotizzare un vero e proprio soggetto unico (una testata, una radio, una televisione) dovendo per forza di cose rinunciare, almeno in parte, alla propria unicità, sarebbe bastato, strategicamente, pur rimanendo nella propria esclusiva identità aprirsi però a un dialogo, a un rilancio, a uno spalleggiarsi tra le varie realtà differenti. Ognuna con le proprie specificità però unite, sodali, verso un progetto comune. Una costellazione di giornali, radio, tv, editrici, giornalisti e saggisti che pur remando da soli o in scialuppe con poche unità avrebbero però condiviso la rotta e gli intenti, aiutandosi l'un l'altro, con il tipo di aiuto che un lavoro del genere esige: visibilità e presenza, vicendevolmente.

Invece nulla: quasi tutti (tranne pochissime realtà) hanno continuato in ordine sparso, individualmente, difendendo la propria unicità e rifiutando qualsiasi dialogo di qualsiasi tipo.

Noi ci siamo aperti e abbiamo incluso tutti quelli che reputavamo utili alla cosa (e i nostri lettori sanno quanti soggetti abbiamo incluso, rilanciato, sostenuto). Gli altri ci hanno semplicemente ignorato.

Dal 2005 a oggi abbiamo visto nascere e chiudere realtà a decine, se non a centinaia. Abbiamo visto collaboratori avvicinarsi al Ribelle, lavorare con noi e poi emigrare altrove in cerca di maggiori prospettive professionali e personali, salvo poi tornare a riavvicinarsi oppure cambiare definitivamente mestiere. Abbiamo visto giornali nascere e perdere lo slancio dell'entusiasmo della prima ora dopo alcuni mesi di difficoltà fino poi a estinguersi del tutto. Televisioni sempre in procinto di partire o partire con trasmissioni imbarazzanti perché curate da persone che, pur con tutta la buona volontà, non erano o sono in grado di fare prodotti professionali. Realtà in cui i promotori stessi non hanno capito che la più ferrea delle volontà non può sostituire la professionalità di cui tali progetti ha bisogno.

Bloggers lavorare in modo acuto e professionale e poi cessare il proprio lavoro dopo aver constatato che più di qualche centinaio di persone, da soli, non riuscivano a raggiungere. E via dicendo. Tutte energie e potenzialità sprecate, disperse, irrilevanti.

Noi siamo ancora qui. Le abbiamo provate tutte, con tutti. Ma a realizzare quel progetto non siamo riusciti. Probabilmente, ammettiamo senza imbarazzo, perché non è il nostro mestiere.

E in modo ancora più diretto: attualmente non siamo in grado di proferire più alcuno sforzo in tal senso, né umano né economico.

C'è una speranza: alcuni nostri lettori, dal settembre scorso, si stanno muovendo autonomamente proprio per contattare quante più realtà possibili con l'intento preciso di creare esattamente quello che ci viene chiesto da sempre sino all'ultima email. Stanno lavorando alla cosa ogni giorno, e ci aggiornano periodicamente sullo stato di avanzamento del lavori. 

Noi, qui in redazione, incrociamo le dita affinché si arrivi all'obiettivo. Perché se abbiamo fallito, in tal senso, e ora più che continuare nel nostro lavoro giornalistico non possiamo fare, ciò non significa che alla cosa abbiamo rinunciato. Anzi, la reputiamo ancora l'unica speranza di riuscita piena di questo progetto. 

E se si dovessero trovare risorse e volontà e accoglienza, non impiegheremmo davvero molto a ripartire alla grande, a espandere il tutto, a riaccendere microfoni e telecamere. A ricominciare a includere tutti quelli che - si spera dopo nuove riflessioni - avessero capito che di un mezzo mediatico di tal tipo c'è veramente bisogno e che per farlo la strada è differente da quella che hanno seguito sino a ora.

Valerio Lo Monaco

 

PS. Posso aver dimenticato qualcosa, e magari Federico Zamboni - che è l'unico, in senso assoluto, che lavora al Ribelle sin dall'inizio e che oggi continua a farlo ogni giorno - vorrà aggiungere qualche altro ragionamento, ma in senso generale il discorso è quello che ho fatto.

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