Se la Germania entrerà a breve in recessione, così come sembra, lo scenario europeo cambierà in modo sensibile. Ancora di più adesso, con Draghi in procinto di dare il via alle “misure non convenzionali” di maggiore peso.
I dati di ieri in merito all’economia tedesca sono allarmanti: la battuta d’arresto è veramente notevole, con un calo della produzione industriale del -4% ad agosto e con un vero e proprio tracollo per il settore automobilistico, da sempre uno dei cavalli di battaglia della Germania, che ha fatto registrare un sonoro -25%. Se vi sarà un nuovo calo del Pil anche per il terzo trimestre - e i dati si attendono a breve - si potrà parlare in tutto e per tutto di fase recessiva anche per la “locomotiva d’Europa”.
Il che ha un significato estremamente particolare. Perché a quel punto non si capirà più con quale artificio, ma anche con quali mere argomentazioni, la Merkel e la Bundesbank potranno continuare a fare la voce grossa alla Banca Centrale Europea. L’austerità imposta al resto d’Europa, così come è il punto fermo tedesco praticamente da sempre, non solo sta facendo vedere i pessimi risultati in tutti gli altri Paesi, ma adesso anche in Germania. E allora?
Allora, posto che le ricette di Draghi siano quelle corrette (e qui non lo crediamo), cioè posto che sia giusto allentare i cordoni del denaro e quelli del fiscal compact per innescare un incremento della domanda interna al fine di stimolare la ripresa, la Germania non potrà più opporsi con argomenti credibili. Né la Cancelliera avrà vita facile in patria.
Già ieri, alla pantomima del “vertice sul lavoro” a Milano, la Merkel è apparsa non solo livida per la sonora battuta d’arresto ricevuta dai dati, ma si è espressa anche in modo significativamente differente soprattutto nei confronti di Hollande, “reo” di avere detto molto candidamente che la Francia non è in grado di rispettare i patti economici sottoscritti a suo tempo con l’Europa e che dunque, molto semplicemente, non li rispetterà. In altri tempi la Merkel avrebbe tuonato in modo molto più sonoro rispetto a quanto fatto ieri, dove si è invece limitata a dire, diplomaticamente, che «è certa che gli altri Paesi rispetteranno i patti». Dichiarazione che vuol dire molto poco, se non la volontà estrema di tenere una linea che essa stessa sa già che dovrà cambiare.
La linea generale europea - e tedesca - dunque, per forza di cose dovrà cambiare.
A quel punto, però, il rischio si troverà nel rovescio della medaglia: con la BCE a mani libere, e di fatto la troika a poter dirigere le operazioni su tutto il territorio europeo, e indirettamente anche sulla Germania, la sovranità dei popoli e le operazioni possibili dei governi locali - di tutti i governi - si ridurranno ancora di più, consentendo una avanzata senza più opposizione alcuna verso la governance mondiale di natura finanziaria tanto voluta dai gruppi di potere economico che, di fatto, già governano i destini dei popoli. Beninteso, non che la Germania potesse apparire un ostacolo reale a tale ordito ma, almeno sino a ora, forte della sua capacità economica in un deserto dei tartari, rappresentava in ogni caso una presenza nazionale di un certo spessore. Da ora in avanti non ci sarà più neanche quella. Almeno non più forte come è stata sino a ora.
In secondo luogo, varrebbe la pena riflettere anche dalle nostre parti (ma stiamo pur tranquilli che non lo si farà) quanto il modello tedesco sia sul serio quello da prendere ancora come riferimento. E lo si dovrebbe fare proprio adesso, proprio oggi, giorno in cui il governo Renzi ha posto e ottenuto la fiducia in Senato per fare tabula rasa dei lavoratori. La Germania che “ha fatto le riforme in tempo”, la Germania dei mini-jobs, la Germania che è riuscita a crescere quasi unicamente per via dello spropositato vantaggio acquisito con il passaggio all’Euro a discapito di tutti gli altri Paesi, la Germania, soprattutto, che è andata dritta come un treno sulla coercizione degli altri popoli, mostra la corda di una società basata sul commercio che giunge al termine della sua corsa.
A chi mai potrebbe continuare a vendere quando non ci sono persone in grado di comperare? Anche ammesso che offrire ai cittadini degli altri Paesi europei il denaro necessario per continuare a perpetrare la società dei consumi sia la cosa giusta da fare (e le posizioni di questo giornale sono chiare, in tal senso), resta da capire con quali metodi, adesso, si intenderà operare.
Perché se in Germania, con la recessione alle porte, si aprono seppur lentamente gli scenari in cui gli altri Paesi sono già immersi da tempo - una cosa su tutte, l’aumento della disoccupazione - qualsiasi mossa si vorrà fare per invertire la rotta a livello europeo, che sia da Francoforte o da Bruxelles, non basteranno pochi mesi per avere degli effetti evidenti.
Le previsioni sul Pil per il 2014 sono funeste per tutti, adesso, e fatalmente inizieranno le false previsioni per il 2015, quando anche i sassi sanno che, in una situazione che degrada inesorabilmente dal 2007, eventuali riprese non si possono attendere nell’arco di “trimestri”, ma di “anni”. Se non decenni.
L’ultima riflessione riguarda proprio i tedeschi: se in Grecia, Spagna, Portogallo e Italia i cittadini sono ormai abituati ai bollettini di guerra e assuefatti (almeno così pare) alle misure imposte altrove, resta da vedere come la cosa verrà accettata in Germania. Certo, lì la Merkel ha ancora ampio spazio per poter spendere in deficit, ma si tratta, in occasione dell’inizio di una spirale negativa come questa è anche per loro, di una possibilità buona solo per prendere tempo. Se non ripartiranno i consumi degli altri Paesi (e come?) non potrà riprendersi neanche la situazione tedesca. A quel punto - a questo punto - la crisi è europea nel suo complesso, e se si leggono i dati reali della falsa ripresa Usa, si può chiaramente parlare di una crisi che ora unisce nel complesso Europa e Usa, dunque tutta l’area atlantica. Mentre la Cina, opportunamente per sé, lascia gli Stati Uniti alla deriva e si stringe sempre di più a Putin, tendendoci la mano per mezzo dello Yuan ora scambiabile con l’Euro, e spostando di fatto, ancora di più, l’asse della storia verso Est.
Valerio Lo Monaco