Valerio Lo Monaco

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Marine Le Pen: la differenza è tutta di "caratura". Altro che populismo

A intervalli regolari e periodici, e a vario titolo, viene rispolverato il termine populismo, sempre connotandolo di valore negativo. In ordine di tempo gli ultimi casi si riferiscono alle parole di Donald Trump, candidato alle primarie repubblicane per le prossime elezioni negli Stati Uniti e alla ascesa, che appare inarrestabile, di Marine Le Pen in Francia con il nuovo corso del Front National.

Per quanto riguarda l’Italia il termine viene usato maggiormente per indicare spregiativamente tutti i richiami e i discorsi che i vari leader del centrodestra pronunciano da anni e, da ultimo, soprattutto per ogni messaggio politico proveniente dall’area del Movimento 5 Stelle. 

Ancora più precisamente, e in modo ormai automatico, è un termine che viene utilizzato in senso lato per ogni partito di opposizione al governo (e ai vari governi), per il semplice, e semplicistico, motivo che una qualsiasi forza politica non legata a logiche governative e anzi portavoce di un dissenso che al giorno d’oggi nessun governo è in grado di contenere, può più liberamente pronunciare parole vicine al sentire comune.

Questo sentire comune, della gente, cioè del popolo, ovvero l’insoddisfazione generale di vivere in questi tempi oscuri che ci è dato di affrontare, è l’esatta pietra angolare che permea la maggior parte delle coscienze e delle emotività del cosiddetto Occidente. Che sia Europa o Stati Uniti, la decadenza che attraversiamo da un decennio (per alcuni anche da molto più tempo) non può che sfociare nella frustrazione e nella constatazione del proprio arretramento delle condizioni economiche e sociali. E che dunque viene facilmente messa a fuoco e intercettata, elettoralmente, da tutte quelle forze politiche che hanno gioco facile a inserirle nella propria comunicazione al fine di attrarre consensi.

Detto in altre parole, se un disagio popolare esiste - ed esiste - le forze governative tendono a nasconderlo, a mascherarlo, a offrire (avventate e inefficaci) speranze riguardo il miglioramento della situazione (altrimenti cosa starebbero a fare, lì al governo?), mentre le forze di opposizione possono più liberamente commentare la realtà dando maggiore cittadinanza politica al dissenso.

Ora, è chiaro che in anni di palese difficoltà come questi, dove il nostro Occidente vede arrivare al pettine decenni, se non secoli, di scelte del tutto sbagliate -  e ce ne accorgiamo dal punto di vista economico, sociale, culturale e demografico, oltre che attraverso l’invasione di popolazioni allogene - sia più difficile coprirlo, quel Re nudo, che indicarlo per quello che è realmente. 

Da una parte abbiamo, a ogni latitudine e longitudine, governi eterodiretti che non possono fare altro che applicare i desiderata delle corporations e delle forze sovranazionali che proseguono imperterriti l’avanzata, in termini di governance, in tutto il mondo. Dall’altra parte le opposizioni che, pur nelle loro sensibili differenze, capacità e onestà in termini di obiettivi, riescono facilmente a intercettare e a dare voce alle sensibilità delle popolazioni.

Eppure al di là del mero discorso politico, e del grado di populismo negativo che queste o quelle realtà politiche portano avanti, la situazione, nel suo complesso, è molto chiara: ci sono milioni di persone, e in quantità sempre crescenti, che non gradiscono ciò che viene loro imposto dall’alto. E che sono preda facilmente, per la più classica delle “teorie delle masse”, di derive anche poco lucide ma facilmente alimentate per esigenze elettorali.

Che il dissenso sia presente in ogni ordine e grado è una realtà incontrovertibile, e ciò rappresenta il problema maggiore per chi ha intenti di governance mondiale. E che questo sia destinato ad aumentare anche, visto che il nostro mondo diventa sempre più complesso e soffocante, se non proprio ostile, dal punto di vista economico e sociale. Ma che tutto questo dissenso venga incanalato nelle corrette e soprattutto efficaci direzioni è un altro discorso.

Il punto è che a fronte di proclami come quello di Tramp negli Usa, «chiusura delle frontiere a tutti gli islamici», e ai “carri armati contro gli immigrati” di Salvini (sic), modi di agire facilmente e platealmente marchiati come populismo del tipo realmente più deteriore (sebbene dagli indubbi effetti elettoralistici), esistono però realtà che propongono una narrazione politica di tipo differente. Più interessante. Più realistica. Più strutturata. E dunque meno facilmente attaccabile.

Per dirla meglio: a chi muove i fili Donald Trump o Salvini non recano alcuna preoccupazione. Marine Le Pen e il Front National e - forse - il Movimento 5 Stelle, invece sì.

La più grande differenza in questi due partiti risiede tutta nella preparazione politica, nella impalcatura intellettuale e nella visione strategica della propria avanzata. Più strutturato e accorto il primo, ancora insoddisfacente dal punto di vista propriamente politico il secondo. Ma entrambi raccolgono enormi fette di consenso.

A suo tempo, vale a dire circa un anno e mezzo addietro, la Le Pen tese la mano alle forze europee che potevano voler aderire a un sentire comune più ampio, ma Beppe Grillo la rifiutò: quest’ultimo aveva (e ha) l’esigenza di intercettare soprattutto i voti dispersi e insoddisfatti del Centrosinistra italiano, e non poteva neanche lontanamente, almeno in quel momento, fare aperture di qualsiasi tipo a ciò che ancora allora veniva considerato un partito “di destra” in Francia. Ma ora le cose stanno cambiando e, come sostiene il politologo Marco Tarchi, “il Front National non è più di destra”, e dunque “per questo ora può vincere” (qui una intervista rilasciata dal professore fiorentino al quotidiano on-line Linkiesta).

L’ascesa di forze politiche di questo calibro è una novità nel panorama europeo - e per come la si pensi è il caso di seguirle con attenzione - perché non si tratta di movimenti spontanei, ancorché più o meno organizzati, i quali patiscono tutte le problematiche di casi del genere, problematiche che hanno tempi lunghissimi di risoluzione e nessuna certezza di farcela, ma viceversa di realtà con una precisa cultura e impostazione strategica oltre che logistica e che dunque, una volta assurte a valori elettorali di rispetto, non possono essere arginate facilmente con il termine (inappropriato) di populismo.

Se un cambiamento della situazione (parziale quanto si vuole) può arrivare da realtà prettamente politiche (per chi crede che ciò sia l’unica strada percorribile) il caso francese va tenuto sotto stretta osservazione, perché per comunque la si pensi, Marine Le Pen non è Salvini, non è Grillo, e non è neanche lontanamente uno Tsipras qualsiasi. 

Valerio Lo Monaco